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Usd1, la stablecoin di Trump. L’esperto: “Fuori dalle regole di sorveglianza, rischia di minare la credibilità del dollaro”

(Adnkronos) – Usd1 è una nuova stablecoin annunciata dalla società World Liberty Financial, fondata dalla famiglia Trump. La particolarità di questo token è che sarà ancorato al dollaro in un rapporto 1 a 1 (un Usd1 corrisponderà a un dollaro) e sarà garantito da riserve in titoli di Stato americani a breve termine, oltre che da depositi in dollari. Una criptovaluta “emessa da privati e fuori dalle regole di sorveglianza” dice all’Adnkronos, Luca Fantacci, professore di economia politica all’Università Statale di Milano. Emerge anche un conflitto di interesse perché in questo caso “il legislatore detta le regole”. Usd1 “è una forma di creazione monetaria al di fuori delle regole che il sistema bancario tradizionale deve rispettare”, afferma. “Si tratta di una moneta digitale parallela assimilabile a quelle che le banche già creano”. Per ogni Usd1 emesso, esiste quindi una pari riserva in dollari che potrà essere riscattata dagli utenti.  Le stablecoin sono un tipo di criptovalute il cui valore è ancorato a un altro asset (in questo caso il dollaro americano) in modo che mantengano un prezzo stabile e non soffrano della volatilità a cui sono soggette altri tipi di criptomonete. La prima ad essere lanciata è stata Tether, nel 2014, ed è anche quella ad avere più capitalizzazione di mercato, l’ammontare di token appartenenti è superiore a 143 miliardi. Tether è anch’essa ancorata al valore del dollaro. La seconda più grande stablecoin è Usd Coin, emessa dalla società Circle a partire dal 2018 e che può vantare una capitalizzazione di 58 miliardi di dollari. Nel caso di Usd1 non si tratta “puramente di un oggetto di propaganda come ‘Official Trump’ (o $Trump, coin personale del presidente statunitense lanciata lo scorso 17 gennaio) – rimarca Fantacci -, ma di una criptovaluta che può potenzialmente avere una forte diffusione sia fra gli investitori, sia come strumento di pagamento internazionale, oltre a servire da strumento di riserva e regolazione delle transazioni internazionali”. Sarebbe inoltre “una fonte di reddito potenzialmente molto forte per chi la emette”, in questo caso una società controllata dalla famiglia del tycoon. Il lancio di Usd1 potrebbe influenzare il mercato globale delle criptovalute grazie all’utilizzo del dollaro come strumento di riserva. In questo senso “la mossa di Donald Trump è coerente con quanto dichiarato nell’ordine esecutivo dello scorso 23 gennaio” con il quale è stata vietata la creazione, l’emissione, la circolazione e l’uso di valute digitali emesse da banche centrali “rafforzando la posizione del dollaro attraverso la promozione di criptovalute” sostiene Fantacci.  Un gioco “pericoloso” per gli Stati Uniti nella misura in cui non venissero introdotte normative in grado di preservare la trasparenza e le responsabilità dell’emittente. Il rischio è che “si verifichi una corsa agli sportelli nel caso ci fossero dubbi sull’effettiva capacità di convertire queste stablecoin in dollari” spiega il professore. Questo tipo di monete devono mantenere “in maniera infallibile” la stabilità con il dollaro. Se questa sicurezza venisse a mancare potrebbe non avvenire la conversione in dollari effettivi. “La crisi finanziaria del 2007-2008 è stata amplificata da numerose ‘shadow banks’ che avevano emesso delle forme di moneta digitale che non sono poi state convertite in denaro effettivo da parte di chi le aveva emesse – aggiunge -. Potrebbero succedere fenomeni analoghi, perciò serve una regolamentazione”. Il rischio è quello del conflitto di interesse. Trump “ha un’azienda privata che svolge una funzione pubblica come quella della creazione di moneta”. Il ‘dollaro digitale’ verrà quindi realizzato da privati, tra i quali c’è il presidente. Secondo Fantacci “nella misura in cui il tycoon sta minando la credibilità degli Stati Uniti, mina anche alle fondamenta la credibilità del dollaro come strumento di riserva e moneta internazionale, e in questo Usd1 è solo un tassello”. Fino ad oggi il dollaro ha mantenuto il suo status di moneta internazionale essendo il ‘luogo’ più sicuro dove mettere i risparmi perché “fino ad oggi gli Usa hanno potuto vantare l’esistenza di mercati finanziari trasparenti e sicuri”. Questo primato ha giustificato l’afflusso negli States di una parte considerevole del risparmio globale. Ma “l’amministrazione Trump rischia di compromettere queste caratteristiche, in primis con la sua politica estera”, sottolinea il professore. “Usd1 è un tassello per un Paese che si è sempre fatto vanto della trasparenza nel funzionamento dei mercati finanziari. Se diventa il luogo in cui si facilitano strumenti di questo genere, di per se sono già deregolamentati, si preconfigura un conflitto di interessi”.  Un conflitto che non sarebbe solo una questione formale. Se il presidente degli Stati Uniti emette una moneta privata che promuove il ruolo del dollaro a livello internazionale “non solo entra in campo la concorrenza sleale, ma si generano dubbi su come vorrà preservare quell’interesse pubblico che è la stabilità finanziaria”. Agevolare la creazione di questa moneta e i conseguenti profitti e e volere che l’emissione sia soggetta a regole stringenti su volumi, trasparenza e rendicontazione “sono due istanze che vanno in direzioni opposte” per l’esperto. L’attività di creazione monetaria è sottoposta a crediti e interessi, oltre quelli dettati dalla necessità di stabilità finanziaria e dalla salvaguardia del potere d’acquisto della moneta. Se la funzione viene svolta da un’azienda privata che punta a massimizzare i profitti “posso immetterne quanta ne voglio e, come presidente, non porrò argini”. “Non posso essere allo stesso tempo il sorvegliante e il sorvegliato, questa mossa segnala una gestione del potere pubblico in chiave privatistica” conclude. (di Marco Cherubini) —finanzawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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