(Adnkronos) – La decisione di interrompere le trattative tra Generali e Natixis “riflette un contesto politico-economico italiano più attento alla sovranità finanziaria, non solo una valutazione prettamente industriale dell’asset management”. Lo sottolinea in un’analisi per AdnKronos l’economista della Bocconi, Michele Calcaterra.
La joint venture che voleva unire Generali Investments Holding con Natixis Investment Managers per creare uno dei principali operatori europei nell’asset management — con circa 1,9 trilioni in gestione — non è andata in porto “perché le condizioni necessarie per concretizzarlo non sono state raggiunte e le trattative sono formalmente terminate”, spiega il professore di Finanza.
Che questo significhi che si debba affrontare un “cambio di fase” dovuto a Mps / Mediobanca e alla governance italiana, “non è facilissimo desumerlo”, sostiene nella sua analisi. Comunque “occorre registrare che è in corso una fase di riorientamento degli equilibri. Negli ultimi mesi c’è stata una rivoluzione interna nella grande finanza italiana”, sottolinea spiegando: “Mediobanca, per anni primo azionista di Generali, è passato sotto il controllo di Mps/Banca Monte dei Paschi con il sostegno di Delfin. Questo – prosegue – ha rafforzato la posizione di alcuni soci “nazionalisti” che oggi guardano con sospetto alle fusioni transfrontaliere su asset strategici come il risparmio gestito e questa dinamica ha reso più complesso ottenere consenso interno e politico per una grande alleanza europea con un soggetto francese”, afferma.
Ora, cosa significa per Generali e il suo posizionamento nel wealth/asset management?
Il professore spiega che l’obiettivo strategico di fondo resta valido. “Il settore asset & wealth management sta subendo consolidamento globale: dimensione, tecnologia e capacità di investimento su private markets sono diventati criteri competitivi chiave. La joint venture con Natixis era pensata proprio per questo”, sottolinea.
Con la rottura, Generali rimane una player di peso, con oltre 800 mld Aum (dati 2024), ma senza il salto dimensionale previsto con Natixis. “Natixis – dice – potrebbe cercare altri partner: infatti fonti indicavano che Bpce potrebbe guardarsi intorno se il deal saltava. Stimo che Generali debba “guardarsi attorno” in quanto le forze competitive internazionali nel wealth/asset management restano forti — americani e grandi europei come Amundi/Allianz — e la dimensione resta un fattore critico di competitività”.
Ci sono diverse vie possibili
Calcaterra indica diverse vie: alleanze domestiche o pan-europee alternative — anche con altri istituti italiani o europei; crescita per linee interne più acquisizioni mirate (buy-and-build), per aumentare soluzioni e tech; partnership su segmenti specifici (es. private markets, soluzioni digitali) — senza cedere controllo su asset generali. “In uno scenario competitivo – dice – fare nulla non è un’opzione concreta se Generali vuole diventare un vero “campione” nel wealth management globale”.
Profumo di Intesa
Riguardo alla voce su una joint venture tra Intesa Sanpaolo e Generali con 1.500 mld di Aum, “non ci sono notizie confermate da fonti di mercato affidabili riguardo a un progetto già definito tra Intesa e Generali con quella dimensione”. La cifra di “1.500 mld”, conclude Calcaterra, “potrebbe essere una stima combinata di masse gestite se Banca Generali + Intesa/Wealth management di Intesa + attività di Generali in asset management , fossero uniti idealmente”. (di Andrea Persili)
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