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Banco Bpm, prove di disgelo tra Unicredit e Mef: i nodi su investimenti e Russia

(Adnkronos) – Secondo quanto apprende l’Adnkronos da fonti a conoscenza del dossier, si è svolto oggi un incontro tecnico tra rappresentanti di Unicredit e funzionari del ministero dell’Economia e delle Finanze, “con l’obiettivo di chiarire alcuni aspetti delle prescrizioni imposte dal governo nell’ambito dell’operazione su Banco Bpm”, soggetta a golden power. L’incontro, che si sarebbe tenuto presso la sede del Mef, rappresenta un passaggio interlocutorio ma significativo nel confronto tra l’istituto bancario e le autorità competenti. Le prescrizioni in discussione, secondo quanto risulta alle fonti, toccano diversi aspetti strategici. In primo luogo, vi sarebbe l’obbligo per un periodo di cinque anni di mantenere invariato il peso degli investimenti di Anima Holding – il gestore del risparmio legato a Banco Bpm – in titoli di emittenti italiani, pubblici o privati, e di sostenere lo sviluppo della società. Un altro punto critico riguarda la richiesta di non ridurre, sempre per cinque anni, il rapporto tra impieghi e depositi praticato in Italia sia da Banco Bpm che da Unicredit. Tra le prescrizioni figura anche la richiesta di cessare tutte le attività in Russia – incluse raccolta, impieghi, collocamento fondi e prestiti transfrontalieri – entro un termine massimo di nove mesi. Le fonti riportano che sussistono perplessità su alcune delle condizioni imposte, ritenute troppo stringenti. In particolare, sulla questione russa, viene sottolineato che “chiedere di svuotare la banca è una cosa, consegnare le chiavi è un’altra”, con un riferimento alla necessità di un decreto presidenziale russo per completare certi disimpegni, su cui la banca non avrebbe pieno controllo. Altro tema di critica riguarda l’obbligo di concentrare gli investimenti in Italia. Una simile restrizione, secondo osservatori vicini al dossier , “non trova fondamento in alcuna disposizione normativa” e rischia di ostacolare la corretta gestione del rischio da parte di un istituto bancario. “Nessuna norma può legittimamente impedire a una banca di diversificare il proprio portafoglio di investimenti, anche all’estero”. Per quanto riguarda il rapporto impieghi/depositi, la prescrizione governativa sembrerebbe andare oltre un monitoraggio prudenziale, imponendo – di fatto – il mantenimento degli impieghi in essere. “Ma un impiego in essere – spiegano alcune fonti – è legato a una richiesta di credito da parte del cliente. Obbligare a mantenerli significa anche finanziare chi, magari, non ha più bisogno di essere finanziato”. Il governo, dal canto suo, giustifica il proprio intervento alla luce della “natura transnazionale” di Unicredit, che presenta una composizione azionaria e una distribuzione geografica delle attività considerate critiche dal punto di vista della sicurezza economica nazionale. Secondo il decreto del 18 aprile scorso, tali caratteristiche renderebbero necessarie misure di salvaguardia per evitare che un colosso internazionale possa snaturare un istituto – Banco Bpm – ritenuto radicato nel territorio e fortemente esposto al credito per piccole e medie imprese italiane.  Riccardo Puglisi, professore ordinario di scienza delle finanze all’Università degli Studi di Pavia, sottolinea all’Adnkronos che Unicredit troverà la quadra con il governo su Banco Bpm. “Non vedo la necessità di contese, la situazione geopolitica è già abbastanza complicata. Gli strappi non sono necessari”, dice il professore.”Non mi straccio certo le vesti se il governo interviene con il golden power”, dice Puglisi. “Ma alla fine penso che si arrivi a un compromesso: l’aggregazione tra banche è necessaria”. (di Andrea Persili) —finanzawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

© Riproduzione riservata

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