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Come la Spagna ha ridotto i femminicidi del 30% in vent’anni

Nell’arco di vent’anni, la Spagna è riuscita a far diminuire i femminicidi del 30%, passando da 71 vittime nel 2003 alle 47 registrate nel 2024, il dato più basso della serie storica. Una riduzione graduale ma costante, costruita su politiche pubbliche integrate, interventi strutturali e programmi educativi che hanno trasformato profondamente l’approccio alla violenza di genere.

In Italia, nello stesso periodo, i casi di femminicidio sono stati quasi il doppio rispetto a quelli spagnoli: 9,4 contro 4,6 ogni 100mila donne.​

La legge che ha cambiato tutto nel 2004

Secondo Graciela Atencio, giornalista e fondatrice dell’osservatorio Feminicidio.net, la Legge Organica 1/2004 sulle Misure di protezione contro la violenza di genere ha segnato un cambio di paradigma nell’approcciare la questione.

Scuola, formazione dei professionisti e sostegno concreto sono i pilastri dell’approccio spagnolo che sta generando risultati incoraggianti. La normativa spagnola, infatti, non si limita a punire i responsabili, ma costruisce un sistema coordinato di prevenzione, protezione e reinserimento delle vittime attraverso tribunali specializzati, formazione degli operatori, educazione sessuo-affettiva nelle scuole e sostegno economico alle donne che decidono di lasciare il partner violento, dal momento che la violenza di genere è anche economica. Un metodo che integra interventi di lungo periodo, dove l’educazione sessuo-affettiva rappresenta uno dei pilastri per contrastare la cultura della violenza.​

Strumenti e risorse a disposizione

Ma quali sono stati gli interventi nello specifico?

Innanzitutto, dal 2004 la Spagna ha investito risorse significative nel contrasto alla violenza di genere, stanziando oltre 400 milioni di euro per finanziare centri antiviolenza, case rifugio, programmi di formazione e campagne di sensibilizzazione. Il sistema prevede tribunali specializzati che si occupano esclusivamente di violenza di genere, garantendo procedure più rapide e personale formato specificamente su queste tematiche. Le vittime possono accedere a un percorso integrato di assistenza legale, psicologica e sociale, mentre i braccialetti elettronici permettono di monitorare gli aggressori e proteggere le donne da nuovi avvicinamenti.​​

La svolta del 2004 è stata il primo passo. La legislazione del Paese ha continuato a evolversi e, nel 2022 il Congresso spagnolo ha approvato la Legge organica 10/2022 conosciuta come Solo sì è sì”, che elimina la distinzione tra abuso sessuale e aggressione sessuale, qualificando come stupro qualsiasi atto sessuale compiuto senza consenso esplicito.

La violenza vicaria e il coinvolgimento dei minori

A ottobre, il governo spagnolo ha approvato un disegno di legge che riconosce per la prima volta la violenza vicaria come reato specifico (articolo 173 bis del Codice penale iberico), con pene che arrivano fino a 3 anni di carcere e sanzioni accessorie fino a 5 anni.

Si tratta di quella forma estrema di violenza in cui l’aggressore colpisce i figli o altre persone care alla donna con l’obiettivo deliberato di punirla e distruggerla psicologicamente.​ La norma, inoltre, proibisce di pubblicare o diffondere contenuti legati al reato, per impedire la spettacolarizzazione del dolore delle vittime.

La Spagna sta anche pensando di rivalutare la partecipazione dei minori nei processi di separazione e violenza domestica. Ad oggi, solo i minori sopra i 12 anni vengono ascoltati nei casi di divorzio contenzioso, ma il Ministero dell’Infanzia e della Gioventù sta lavorando con quello della Giustizia affinché tutti i minori, indipendentemente dall’età, possano essere ascoltati, in modo da riconoscere il loro diritto a essere parte attiva nella tutela dei propri diritti e dei legami affettivi familiari.

Confronto con l’Italia: analogie e differenze

L’Italia ha iniziato un iter simile, anche se il percorso è stato più frastagliato ed è iniziato dopo rispetto alla Spagna.

Il 25 novembre 2025, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la Camera dei deputati ha approvato all’unanimità il disegno di legge del Governo che introduce nel Codice penale il reato di femminicidio. Il provvedimento, già approvato dal Senato lo scorso 23 luglio, rappresenta un passo importante nella risposta del Paese alla violenza contro le donne e nel riconoscimento della sua specificità.

Ora, il nuovo articolo 577-bis del Codice penale stabilisce che “chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali è punito con la pena dell’ergastolo”.

I numeri sui femminicidi

Nel 2024 in Italia si sono registrati 106 femminicidi su 116 omicidi con una vittima donna, di cui 62 uccise dal partner o ex partner. Nonostante l’introduzione del codice rosso nel 2019 e l’approvazione all’unanimità al Senato del disegno di legge sul reato di femminicidio nel luglio 2025, secondo gli esperti l’Italia manca ancora di un approccio strutturale paragonabile a quello spagnolo.

Il ddl Valditara ha introdotto l’educazione sessuo-affettiva, ma solo dalle medie e con il via libera delle famiglie. Una scelta che, secondo Giulia Selmi, sociologa dell’Università di Parma e studiosa delle politiche di prevenzione, rischia di indebolire il contrasto alla violenza di genere. In un’intervista al Corriere della Sera, la sociologa ha evidenziato che il modello spagnolo funziona proprio perché segue un approccio su più livelli: “La Spagna vent’anni fa ha fatto una legge quadro: un approccio strutturale alla violenza, che ha la scuola come uno dei suoi assi fondamentali, ma anche la comunicazione sui media, l’accesso alla giustizia, la formazione degli ordini professionali e il sostegno al lavoro delle donne. Tutto questo ha ridotto i femminicidi in maniera significativa”. Secondo Selmi, la normativa spagnola è il frutto di una “tendenza netta al cambiamento che noi in Italia non abbiamo”.

L’educazione come strumento di cambiamento

Un tema molto dibattuto sul piano sociale e politico è l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva a scuola, che in Italia è rimesso alla volontà dei genitori: “Tutte le ricerche, lo certifica anche l’Unesco, mostrano che l’educazione sessuo-affettiva è uno degli elementi che concorrono a contrastare la cultura della violenza”, spiega Selmi.

Un’indagine del Ministero dell’Istruzione e del Merito sulle iniziative promosse dalle scuole secondarie di secondo grado per il contrasto alla violenza contro le donne, ha dimostrato l’efficacia di questo strumento. Svoltasi tra il 15 e il 29 maggio di quest’anno, l’indagine ha coinvolto 2.322 scuole statali (l’86,7% del totale delle scuole superiori), da cui è emerso che “Quasi il 97% ha avviato attività specifiche per sensibilizzare al rispetto delle donne e per educare alle relazioni, così come previsto dalle nuove Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica”.

La nota del Mim speiga che “i progetti si sono svolti sia durante le ore di lezione (87,4%), sia come iniziative extracurricolari (12,6%), attraverso laboratori, seminari, gruppi di discussione, performance artistiche e campagne di sensibilizzazione. Inoltre, il 47,4% delle scuole che hanno partecipato all’indagine, ha dichiarato di avere anche buone pratiche da segnalare”. Il risultato che ne emerge è che nel 68,5% degli istituti si è registrata una maggiore attenzione ai comportamenti relazionali, un uso più consapevole del linguaggio e una diminuzione di episodi di bullismo o violenza di genere.

La riduzione del 30% dei femminicidi registrata in Spagna conferma che un approccio integrato, che parte dalla prevenzione educativa e arriva al sostegno economico alle vittime, produce risultati concreti nel medio e lungo periodo.​

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content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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